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Ode alla Vulnerabilità

La forza fragile della vulnerabilità

Quando sono molto emozionata, piango.
È più forte di me. Non importa quanto cerchi di trattenerle, le lacrime trovano sempre la strada per uscire, attraversano i miei occhi come un fiume che rompe gli argini e non vuole essere fermato.
Gioia, rabbia, tristezza… Non si tratta di cosa provo in quel momento quanto dell’intensità che mi attraversa a scatenare il pianto.

Per anni ho pensato che fosse una debolezza. Un segno di fragilità, di mancanza di autocontrollo, di incapacità di mostrarmi “forte” come ci si aspetta da un’adulta. Quante volte ho sentito quel nodo in gola trasformarsi in vergogna, perché sapevo che gli altri lo avrebbero visto? Quante volte ho desiderato ingoiare quelle lacrime, soffocarle, per non sembrare “troppo sensibile”?

Quante volte mi è stato detto che sembro debole, sottomessa, quando piango… Se solo sapessero che sono tutto fuorché quello. Se solo sapessero.

Mi ci sono voluti anni per capirlo, però.

Anni in cui mi sono giudicata spietatamente, in cui ho letteralmente odiato quelle lacrime, che scendevano senza permesso dando agli altri un’idea fuorviante di chi ero.

Ma ora è finalmente cambiato tutto: ora vedo la vulnerabilità, me stessa e quelle lacrime con occhi chiari, diversi. 

Lo specchio che gli altri non vogliono guardare

Quando mi mostro vulnerabile, capita che qualcuno si irrigidisca. Non sa dove guardare, cosa dire. Alcuni si spostano a lato come se la mia nudità interiore li mettesse in pericolo. Altri cambiano discorso, minimizzano, cercano di riportare tutto ad un livello più superficiale. Altri ancora si arrabbiano e reagiscono in modo verbalmente violento, cercando di spegnere in fretta quell’intensità che incontrano in me non sanno come gestire.

Non è colpa loro.
La vulnerabilità è uno specchio che rimanda l’immagine più autentica di sé. E non sempre siamo pronti a incontrarla. Per molti, vedere un altro che si lascia attraversare dalle emozioni significa fare i conti con una parte che hanno imparato a nascondere: il pianto mai concesso, la paura repressa, il dolore che non hanno saputo nominare.

Mostrare la propria imperfezione può creare disagio proprio perché fa emergere la loro. E se non hanno ancora trovato un modo per stare con essa, questa trasparenza diventa un richiamo troppo forte da evitare, sminuire e cancellare il più rapidamente possibile.

È un pungolo, una spina nel fianco. Qualcosa di inaccettabile e incomprensibile, perché non hanno mai imparato ad attraversarla. 
Non pensare che io sapessi da sempre come fare ad incontrarla e a starci dentro! Ti ho già accennato prima che per tantissimo tempo è stata per me una debolezza inaccettabile.
Per una persona ferita – e lo siamo tutti, chi più e chi meno – la cosa più naturale da fare è quella di proteggersi ad ogni costo, costruendo barriere protettive, anche maschere, per seppellire sempre più in profondità quella parte piccola e vera, così che soffra il meno possibile.
Anche io ho fatto così. Per anni e anni. Finché quella barriera protettiva non è diventata talmente stretta da non farmi respirare più, costringendomi ad una scelta. Stare protetta e morire dentro ogni giorno soffocando, oppure distruggere quella barriera ed espormi a tutto, rischiando di morire ma, nel frattempo vivendo intensamente?

La vulnerabilità è uno specchio che rimanda l’immagine più autentica di sé. E non sempre siamo pronti a incontrarla. Per molti, vedere un altro che si lascia attraversare dalle emozioni significa fare i conti con una parte che hanno imparato a nascondere: il pianto mai concesso, la paura repressa, il dolore che non hanno saputo nominare. Di Valentina Cavalieri per Epigenetica Evolutiva
Foto di Vince Fleming via Unsplash

Le ferite possibili

Essere vulnerabile è come camminare nuda in mezzo a una piazza. Non puoi controllare gli sguardi, né le reazioni. Alcuni ti giudicheranno, altri ti derideranno, altri ancora ti eviteranno. Ma ci sarà anche chi si fermerà e dirà: “Anch’io”.

La verità è che sì, potrei essere ferita. E, credimi, fa veramente paura.
In effetti, è proprio per quella paura che avevo messo quelle barriere. Perché quando ero piccola, come è probabilmente successo anche a te, e non avevo nessuna protezione sono stata ferita da chi più amavo. Nessuno di loro l’ha mai fatto veramente intenzionalmente, nel mio caso (e probabilmente anche nel tuo).
Ma ciò non cambia il risultato: pezzo dopo pezzo ho costruito un’incredibile armatura scintillante.
E poi un castello.
E i fossati coi piranha intorno al castello. 
Ho chiuso la parte più pura di me così attentamente da aver quasi dimenticato com’era. 

Nel tentativo di proteggerla (e proteggermi) ho interrotto ogni in contatto con la mia verità, con chi ero veramente.
E se nascondersi fosse la morte lenta di ciò che siamo?

Scegliendo di mostrarmi così, autentica e nuda, offro la parte più tenera di me, quella che non ha corazza, quella che non sa difendersi con maschere o finzioni.
Un rischio enorme, direi… Ma è anche l’unica parte che ora davvero mi interessa essere e offrire al mondo.

Perché se mi proteggo sempre, se mi nascondo dietro l’apparenza di una maschera costruita ad hoc, nessuno potrà mai incontrarmi davvero. Mi vedranno solo come un personaggio costruito, non come essere umano. E io non voglio vivere così. Io non sono così.

Preferisco correre il rischio di essere ferita piuttosto che restare inviolata ma sola dentro mura che io stessa ho innalzato. 

Scelgo di vivere quest’intensità che è la Vita, piuttosto che soffocare e morire dentro.

La forza della nudità

La vulnerabilità, lo sto imparando ogni giorno, non è mancanza di forza: è la forza stessa.
Ci vuole coraggio per restare, quando tutto dentro urla di scappare. Ci vuole fiducia (e fede) per aprirsi senza sapere come l’altro accoglierà. Ci vuole presenza per dire: “Questa sono io, così come sono, con le mie lacrime, con i miei tremori, con le mie contraddizioni”.

E c’è qualcosa di profondamente liberatorio in questo.
Quando smetti di nasconderti, non devi più recitare. Non hai più il compito impossibile di controllare ogni dettaglio per sembrare impeccabile. Puoi finalmente respirare. 
È incredibilmente riposante, mollare tutte quelle barriere: tenerle su occupa una quantità enorme della nostra energia, che potremmo utilizzare in modi decisamente più utili per la nostra evoluzione.

Essere vulnerabili significa togliere la corazza, e scoprire che, sotto, non siamo solo carne esposta ma anche luce. È nella nudità che brilla la nostra essenza più autentica.

Essere vulnerabile è come camminare nuda in mezzo a una piazza. Non puoi controllare gli sguardi, né le reazioni. La verità è che sì, potresti essere ferita - valentina cavalieri per epigenetica evolutiva
Foto di Jason Schjerven via Unsplash

Un apprendimento che non finisce mai

Ti avverto, questo non è stato un passaggio immediato. Ho impiegato anni a cambiare lo sguardo su di me. Ogni volta che una lacrima scendeva davanti a qualcuno, mi ritrovavo a combattere con la voce interiore che diceva: “Stai esagerando, sei troppo sensibile, sei debole”.

Poi ho cominciato ad ascoltarne un’altra, più sottile, più antica. Una voce che diceva: “Sei viva. Sei umana. C’è molto di più. Questo è il tuo dono”.

Da lì, è iniziato un allenamento quotidiano: restare.
Restare con la mia emozione, con il battito accelerato, con lo sguardo dell’altro che a volte non capisce. Restare anche con il rischio di non essere accolta.

Sciogliere quel giudizio impietoso che mi infliggevo e che vedevo riflesso negli altri.

Accogliere quella paura di morire, quella paura di farmi male.

Conoscere – e questo è stato ancora più spaventoso per me – quella paura di vivere che mi stava uccidendo lentamente. Incredibile come per qualcuno (non succede a caso, ci sono motivi per cui questo accade) andare verso la vita sia più difficile che andare verso la morte…

E ogni volta che lo faccio, che ci resto dentro, sento che un pezzo di me si rafforza. Non perché divento impermeabile, quello no, mai più, ma perché divento più vera.

Vulnerabilità come spazio di incontro

La cosa incredibile è che quando ci permettiamo di essere vulnerabili le distanze si accorciano.
Quante volte, dopo un mio pianto, qualcuno si è aperto a sua volta, raccontando una parte che non aveva mai condiviso? Quante volte un mio tremore ha dato ad altri il permesso di abbassare la guardia? 

Come una candela, che una volta accesa è sufficiente avvicinarne un’altra ad essa perché anch’essa si accenda. Luce che non oscura altre luci, ma per il semplice fatto di esserci fa sì che altre ancora si accendano.

La vulnerabilità crea ponti. Ci ricorda che non siamo soli, che non siamo macchine perfette, che tutti portiamo dentro cicatrici e desideri, paure e speranze.

E forse è proprio questo che spaventa: ci ricorda che, in fondo, siamo tutti ugualmente imperfetti.

Ma ci mostra anche che tutti noi possiamo farlo. Tutti noi possiamo abbassare le armi – progressivamente, coi nostri tempi – e accenderci di nudità.

La mia scelta

Oggi scelgo di non trattenermi più.
Scelgo di lasciare che le lacrime scorrano, che la voce tremi, che il cuore batta forte. Scelgo di non chiedere scusa per la mia sensibilità.

Perché ogni volta che mi lascio essere vulnerabile, io mi sento intera.
E non importa se qualcuno si sentirà a disagio, se qualcuno non saprà cosa farsene delle mie emozioni. Non importa se rischio di essere ferita: ora so che è un rischio che vale la pena correre.

La vulnerabilità non è il contrario della forza.
La vulnerabilità è la forza.
È la forza di restare umani, di essere veri, di amare anche quando non c’è garanzia. È la forza di mostrarsi nudi davanti alla vita e dire: “Eccomi”.

Ed è questa la forza che scelgo, ogni giorno.

Se queste righe hanno toccato qualcosa dentro di te, se c’è stato un brivido dentro che ha fatto tremare le tue barriere, allora fermati lì. Respiraci dentro. Ascolta come ti senti nel corpo. Prenditi almeno 5 minuti senza fuggire da queste sensazioni.

Poi, se desideri parlarne insieme, io ci sono.

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